Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Per discutere di sigle tv e colonne sonore
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*ONGAKU*
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da *ONGAKU* »

gatusque ha scritto:
tyuan ha scritto:Anche i testi, se riletti attentamente, sono tutt'altro che banali, a parte qualche rara eccezione (i testi di Zara, Macchiarella, Tommaso e Mitzi sono da San Remo!)...

Se pensiamo chi ha vinto quest'anno,ti rendi conto che maestri assoluti come quelli da te citati a Sanremo non dovrebbero nemmeno metterci piede,si rovinerebbero l'immagine :wink:
Colpa del televoto e delle ragazzine! E' un bene o è un male che Marco Carta ha avvicinato le ragazzine a Sanremo?
:?:
gatusque

Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da gatusque »

Se le ragazzine si avvicinano a Sanremo e alla musica in generale solo per Marco Carta piu' che un male è un dramma :wink:
Ma visto lo scadimento della musica in generale,continuo a tenermi stretta la mia
"musica da bambini" :-love)))
Maison72
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da Maison72 »

boffoviridis ha scritto:
tyuan ha scritto:Mi spiace moltissimo per chi è nato 15-20 anni fa e sta crescendo con musica insulsa, non potrà mai apprezzare la vera musica, dal momento che non ha avuto la giusta educazione musicale.
Cosa intendi per "educazione musicale"? Personalmente sono convinto che la giusta educazione possa essere ottenuta solo impegnandosi da soli. A me piace esplorare generi musicali strani e di nicchia come la musica classica, la musica medioevale, la musica dell'antica Roma e degli Etruschi, la musica classica giapponese o quella classica araba. Mi piace esplorare il mondo delle sigle, la musica rock degli anni '70, '80, '90. Tutto ciò mi ha fatto capire che la musica di oggi, tranne rari casi, è irrimediabilmente scarsa.
Però questi miei "viaggi esplorativi" non sono il frutto dell'educazione di nessuno, ma sono stato io, stufo della mediocrità moderna, a voler approfondire. Il discorso può essere allargato, in quanto, ad esempio, ormai molto di quello che mi è stato insegnato a scuola non lo considero più valido (molto, non tutto!): l'educazione impartita da altri tende a omologare e a massificare e quindi è più dannosa dell'ignoranza (ignoranza presuppone un nulla, un vuoto che può essere riempito; ed è più facile riempire di cose giuste ciò che è vuoto piuttosto che svuotare ciò che già esiste per far spazio a nuove idee e a nuove conoscenze).
Io sono convinto che, se fossero stati gli altri ad educarmi sulla musica, non sarei mai diventato un estimatore delle sigle o di altri generi musicali degni di questo nome.
Mitico, la pensi come me.
Con diverse persone non c'e' niente da fare, hanno i pregiudizi e non li smuovi di un millimetro. Ti guardano con aria di sufficienza, o arroganza o supponenza o presunzione...
Pazienza. Meglio usare la proprio testa anche se sta diventando sempre piu' infrequente nelle persone.
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ayesha73
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da ayesha73 »

Ritengo la musica per bambini un genere nobilissimo. Colloco gli autori delle nostre amate sigle dei cartoni animati in quella medesima tradizione che, a suo tempo, vide nascere, ad esempio, La Boîte à jouojoux di Debussy, L’Histoire de Babar di Poulenc e tante cose di Benjamin Britten (per inciso, quando ascolto i suoi brani per voci bianche femminili penso alle Mele Verdi :) ...)
"Mordi mordi Mele Verdi - dice mamma - e crescerai!" : D
coccy1961
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da coccy1961 »

La canzone di Marco Carta somiglia molto a Mille braccia di Laura Pausini autore.. lo stesso de La Forza mia Paolo Carta(non parente di Marco... ma compagno di Laura Pausini)
gatusque ha scritto:Se le ragazzine si avvicinano a Sanremo e alla musica in generale solo per Marco Carta piu' che un male è un dramma :wink:
Ma visto lo scadimento della musica in generale,continuo a tenermi stretta la mia
"musica da bambini" :-love)))
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debussy78
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da debussy78 »

L'ho già detto altrove ma lo ripeto qui: sebbene in altra tonalità, tutta la struttura armonica del ritornello della canzone di Marco Carta è uguale uguale alla sigla Sonic X cantata da Giacinto Livia nel 2005!! :P (fine OT)
coccy1961
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da coccy1961 »

Comunque Riccardo Zara inizio come autore per grandi suo il capolavoro dei Dik Dik Viaggio di un poeta
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coccy1961
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da coccy1961 »

Ci sta che come chitarrista ci suoni Paolo Carta!! Di che etichetta era ?
debussy78 ha scritto:L'ho già detto altrove ma lo ripeto qui: sebbene in altra tonalità, tutta la struttura armonica del ritornello della canzone di Marco Carta è uguale uguale alla sigla Sonic X cantata da Giacinto Livia nel 2005!! :P (fine OT)
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Yusaku
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da Yusaku »

Io penso che le sigle dei cartoni animati (parlerò esclusivamente di queste) siano canzoni per bambini, nel senso che sono nate con uno scopo ben preciso: quello di accompagnare un prodotto (in questo caso il "cartone animato") destinato al pubblico infantile.

Questo non vuol dire che il pubblico adulto non possa apprezzarle, anzi, il pubblico adulto ha capacità maggiori per apprezzare appieno questi prodotti, soprattutto dal punto di vista musicale, ma è innegabile che il target di riferimento sia un altro.
Probabilmente vogliamo trovare un espediente per appagare la nostra coscienza e/o giustificare il fatto che ascoltiamo questi prodotti, ma la realtà è unilaterale: siamo una fetta di gente che fruisce di un prodotto destinato ad un altro tipo di pubblico.
E questo non è assolutamente un male perché ognuno ascolta queste creazioni artistiche per motivi più che nobili, fosse il fatto che ci piace la voce di un interprete o il modo di comporre di un musicista, fosse il fatto che ci piace l'animazione con i suoi derivati o fosse semplicemente l'affetto che ci lega ad un ricordo piacevole di felicità e spensieratezza.
E' forse questo un male? Non lo è assolutamente, ricordiamoci che un certo Pascoli parlava di un'entità chiamata "fanciullino", che piange e ride senza un perché di cose che sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra ragione e riempie ogni oggetto della propria immaginazione e dei propri ricordi.
  • È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, [...] ma lagrime ancora e tripudi suoi. [...] Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello.
    (Giovanni Pascoli - da "Il fanciullino")


Non è un male, quindi, se dissetiamo il fanciullino che è dentro di noi, basta però cercare di essere realisiti e guardare questi prodotti per quello che sono: canzoni destinate ad un pubblico infantile.
Al massimo possiamo definirla come la musica per la "famiglia", la musica del divertimento, dei sogni, della fantasia, della speranza, ma non certo come prodotti per adulti. La guerra di Piero è un prodotto musicale per un pubblico adulto, non certo Il grande Mazinger, Candy Candy o Kiss me Licia.

Tuttavia, e dico tuttavia, la siglologia ha una storia così interessante e complessa che può essere studiata molto attentamente, divisa in periodi-chiave e sviscerata in ogni sua forma.
Per sigla intendiamo un'opera artistica che associa un testo ad una musica, ovvero una canzone, per cui innanzitutto si possono analizzare separatamente musica e parole.

Presa da parte, non esiste una vera e proprio musica che può essere etichettata come "musica per bambini". In realtà non esiste musica per bambini o musica per adulti, la musica è solo una, ma accostata ad un determinato testo e ad un arrangiamento specifico può assumere un significato diverso e, quindi, un target vario.
Se ad esempio prendiamo in considerazione la sigla Remì, le sue avventure, del maestro Vince Tempera, ne abbiamo un esempio lampante. La melodia è la stessa della canzone Brown girl in the ring, dei Boney M., che è un buon pezzo per adulti. Eppure se associamo questa musica a certe parole e la arrangiamo in un certo modo, la canzone assume tutt'altro significato.
Ciononostante la musica, nel senso di "melodia" ovvero di serie di note, è più o meno la stessa.
Lo stesso vale per Anna dai capelli rossi oppure, citando altri autori, per la canzone Galaxy, scritta dai fratelli De Angelis, che, conservando la stessa melodia ma cambiando testo, è passata da sigla di un cartone animato a colonna sonora di un film per adulti.
Non esiste quindi una vera e propria distinzione tra musica per bambini e musica per adulti, una melodia può essere orecchiabile, ben arrangiata, monotona, originale, ma non ha distinzione di target.
Prendendo come esempio la canzone di De André citata prima, ovvero "La guerra di Piero", è innegabile che esistano tantissime sigle (che sia La spada di King Arthur di Riccardo Zara o Evelyn e la magia di un sogno d'amore di Giordano Bruno Martelli) che presentano un'ochestrazione più ricca, più varia e, sicuramente, più complessa. Eppure, nonostante l'arrangiamento notevole e professionale, è indubbio che i pezzi per bambini siano questi ultimi.
Questo ci dice, quindi, che la chiave che determina il target di un pezzo è principalmente il testo, studiato nel suo significato, nel campo semantico delle parole usate e nella complessità di esso.

Il modo di scrivere il testo di una sigla di un cartone animato si è evoluto nel tempo, sia nella patria originaria della maggior parte di questi prodotti (il Giappone), sia in Italia.
Partendo dagli anni '60, le sigle giapponesi dei primi cartoni animati avevano un testo costruito sul protagonista del cartone animato: parlavano del personaggio, esaltandone le doti e le carattestiche e presentando ambientazione e vicende della storia.
Doraemon, Carletto il principe dei mostri, Kimba il leone bianco, Sally la maga, Principessa Zaffiro ne sono un chiaro esempio.
Questo è dipeso anche dal genere di disegni animati presente in un certo periodo della storia d'animazione nipponica, che erano di chiaro stampo fiabesco/infantile.
  • Mahou no kuni kara yattekita
    Chotto CHARM na onnanoko
    Sally! Sally!

    (E' venuta dal Regno della Magia,
    una bambina con un tocco incantato,
    Sally! Sally!)
    (Makiho Emi - da "Mahou tsukai Sally no uta")


Con la produzione di opere animate di stampo diverso, sempre destinate ad un pubblico minore ma caratterizzate da tematiche più profonde e da un'introspezione psicologica dei personaggi più complessa, anche le sigle si adattarono e assunsero un nuovo significato, più lirico e maturo, quasi adulto, senza però travisare la chiara identità di questi prodotti.
Questa nuova veste che iniziò a caratterizzare le sigle dei cartoni animati giapponesi "più maturi" degli anni '70 e '80, trovò i primi veri grandi esponenti in serie come Lady Oscar (Versailles no bara) e Cara dolce Kyoko (Maison Ikkoku), che proposero una serie di canzoni di fattura più elevata, adoprando come sigle persino canzoni nate per un un pubblico adulto e diffuse ad esso, nello specifico i pezzi "Get down" e "Alone again" di Gilbert O'Sullivan per un episodio dell'opera di Rumiko Takahashi.
  • Kanjite subete wo
    kanashimi fuyasu no wa oroka-na koto darou
    Begin the night
    Begin your love

    (Ti sento interamente
    la tristezza aumenta, è una cosa folle.
    Inizia la notte.
    Inizia il tuo amore.)
    (Kisugi Etsuko - da "Begin the night", Maison Ikkoku)


Questa evoluzione musicale, consolidatasi a cavallo tra gli anni '70 e '80, proseguì in maniera chiara fino ad oggi, mantenendo una differenza di genere tra le sigle che accompagnano cartoni animati di stampo infantile e quelle che racchiudono un'opera di carattere più maturo.

La situazione italiana, invece, non ha mai conosciuto (tranne per casi rari ed unici) un distaccamento totale delle sigle dei cartoni animati dalla loro natura infantile o pre-adolescienziale.
Tuttavia anche il panorama italiano ha visto nascere nuovi modi di comporre, mostrando una sorta di evoluzione molto simile a quella giapponese.
I primi cartoni animati nipponici arrivati nel Belpaese negli anni '70 e '80 ebbero come sigla una canzone, quasi sempre creata appositamente in Italia, dal testo costruito attraverso un canone ben specifico.
Così come le sigle giapponesi degli anni '60, anche le prime sigle italiane catturavano l'attenzione sul protagonista della serie e sulla sua storia.
Esempio più grande furono le sigle dei cartoni animati di stampo robotico, ma anche quei cartoni animati di carattere più maturo (che, come "Lady Oscar", avevano conosciuto in Giappone nuovi topoi) in Italia ebbero quei testi di carattere fiabesco/infantile che, invece, caratterizzavano i prodotti nipponici anni '60, come "Sally la maga".
E così dalla mente di autori come Lucio Macchiarella, Cesare De Natale, Franco Migliacci, Luigi Albertelli, Mitzi Amoroso, Alessandra Valeri Manera, Riccardo Zara, Andrea Lo Vecchio nacquero, tra gli anni '70 e la prima metà degli anni '80 testi che vedevano il loro ritornello puntare sul protagonista e le strofe parlare delle vicende e della storia della serie.
  • Si trasforma in un razzo missile
    con circuiti di mille valvole, fra le stelle sprinta e va!
    (Luigi Albertelli, 1978 - da "Ufo Robot")

    Candy oh Candy che sorrisi grandi che fai,
    che sapore dolce, che occhi puliti che hai!
    (Lucio Macchiarella, 1980 - da "Candy Candy")

    Lui è la, la sua spada vincerà
    il nemico che verrà e per noi lotterà!
    (Andrea Lo Vecchio, 1980 - da "Gundam")

    Oh Lady Lady Lady Oscar tutti fanno festa quando passi tu!
    Oh Lady Lady Lady Oscar come un moschettiere batterti sai tu!
    (Riccardo Zara, 1982 - da "Lady Oscar")

    Alla bastiglia la gran folla si scaglia, è la vigilia di una nuova battaglia!
    Lungo la Senna si arrende il bastione, il re tentenna, c'è la rivoluzione!
    (Alessandra Valeri Manera, 1983 - da "I ragazzi della Senna")

    Il Fujiama vegliava su di me,
    sui miei pensieri riflessi
    in un bicchiere di profumato tè.
    (Maria Letizia Amoroso, 1984 - da "Mademoiselle Anne")


La produzione di queste sigle, che, inevitabilmente, non poteva fare grande distinzione tra il vero target dell'opera originaria e il target fittizio attribuito dalla dogana italiana, non poté fare altro che uniformare il target di qualsiasi prodotto a disegni animati, alimentando l'opinione comune di indistinzione di livello tra cartoni animati, che in realtà potevano già essere classificati per genere. Questa mancanza di discernimento favorì il genere infantile che divenne l'unico genere che poteva essere attribuito a questi prodotti dalla mentalità italiana, non ancora avvezza a vedere tematiche importanti sotto forma di disegni in movimento.
Nonostante ciò, la professionalità degli autori scelti per la realizzazione delle sigle nostrane seppe produrre testi che, pur essendo prodotti "minori" destinati al mondo dell'infanzia, avevano una certa ricercatezza, sia nei temi che nelle parole scelte, che spesso abbracciavano la sfera dell'insegnamento, ma anche e soprattutto quella della fantasia, dell'immaginazione e del sogno.
Ecco che i bambini, principali fruitori in Italia di questi prodotti, potevano sperare in un mondo migliore con la sigla di Conan (1981, Lucio Macchiarella), volare con la fantasia con Lo specchio magico (1983, Riccardo Zara), imparare la mitologia greca con Pollon, Pollon combinaguai (1984, Alessandra Valeri Manera) o, ancora, sognare nuove realtà con Lo scoiattolo Banner (1982, Mitzi Amoroso).
Se poi si aveva a che fare con prodotti animati non contaminati dallo "spirito maligno giapponese", ecco che potevano nascere testi con sottili sfumature di signficato meno ovvie alla comprensione infantile: «Poi scende l'oscurità e la tua donna notte calda ti dà» (1981, Mitzi Amoroso - da "Flash... Gordon... Flash").
Questi elementi, uniti alla raffinatezza musicale che, invece, poteva anche dirsi superiore ai rispettivi prodotti nipponici, determinarono un genere tutto italiano, diverso sì dallo spirito originario di alcune opere, ma altrettanto prezioso e di valore per chi, oggi, ricorda con affetto e apprezza questi prodotti.
Si può dire che questa fetta di produzione rientri in un periodo definibile come Siglologia classica (1970 - 1985).

Dalla seconda metà degli anni '80, invece, in un periodo qualificabile come Siglologia neoclassica (1986 - 2000), rientra una parte di produzione nata con coscienza maggiore.
Dopo il boom dell'animazione giapponese in Italia, a differenza dei cartoni animati che quello stesso boom aveva classificato come nocivi e che quindi venivano sempre più censurati, le sigle poterono trovare maggiore libertà, facendosi protagoniste di un'evoluzione simile a quella avvenuta in Giappone, questa volta inevitabilmente in modo più veloce.
E così, a differenza di quelle serie destinate ad un pubblico maschile giunte alla fine degli anni '70 che si erano genuflesse al buonismo Rai, in questo periodo un paroliere come Lucio Macchiarella, ormai autore esperto di sigle per bambini e conscio del loro grande potenziale, poté dar vita ad un testo maturo da scenario apocalittico, che di infantile sembrava avere ormai poco e niente, si trattava della sigla della serie Ken il guerriero, del 1986.
  • Mai, mai scorderai l'attimo, la terra che tremò.
    L'aria si incendiò e poi silenzio.
    E gli avvoltoi sulle case, sopra la città, senza pietà.
    (Lucio Macchiarella, 1986 - da "Ken il guerriero")
Passarono solo due anni e il pretesto che mise in luce, in maniera più evidente, l'evoluzione che le sigle dei cartoni animati stavano avendo fu l'arrivo in Italia nel 1988, sulle reti Fininvest, della serie Prendi il mondo e vai, di Mitsuru Adachi.

Valeri Manera, che, come Macchiarella, scriveva sigle per cartoni animati ormai da diversi anni, capì che era il momento per disancorare questo tipo di sigle, scritte per serie più mature degli standard a cui si era abituati in quegli anni su rete nazionale, dal relativo cartone animato, seguendo l'usanza che aveva già preso piede in Giappone da qualche anno. Anche nella patria d'origine di queste serie da alcuni anni era abitudine comune scrivere, per i cartoni animati di un certo target, pezzi autonomi, ispirati alla relativa serie ma che potevano tranquillamente essere lanciati sul mercato come brani di musica leggera, in quanto non si limitavano più a descrivere unilateralmente fatti e vicende del cartone animato. Valeri Manera, che in quel periodo era immersa nell'esperienza delle serie televisive per adolescenti, si adeguò all'usanza nipponica scrivendo testi con nuove sfumature, trattando spesso tematiche adolescenziali come i sogni, le aspirazioni e l'amicizia: gli stessi temi ai quali si ispirava questo genere di serie animate. Scrisse così Prendi il mondo e vai, Piccolo Lord, Una per tutte, tutte per una, Questa allegra gioventù, Una spada per Lady Oscar, Cantiamo insieme, Fiocchi di cotone per Jeanie, Piccoli problemi di cuore e, tra le ultime, Temi d'amore fra i banchi di scuola e I tanti segreti di un cuore innamorato.
  • La gente che intona questa melodia
    davanti a sé ha solo ipocrisia,
    mentre tu hai almeno un'opportunità
    e ovunque vai respiri libertà.
    (Alessandra Valeri Manera, 1994 - da "Fiocchi di cotone per Jeanie")
Questa evoluzione filo-nipponica fu marcata dal confronto che poteva essere effettuato tra la prima e la seconda sigla di Lady Oscar. Se, con il suo senso di infantilismo, la prima aveva sofferto l'imposizione di uno standard che non le permetteva di esprimere il valore di "Versailles no bara", con la seconda Valeri Manera poté cogliere l'occasione per alludere a temi ben più profondi e interessanti: Oscar è e si sente donna dentro di sé e, nonostante le sia impedito di vivere la sua sessualità, non deve cambiare questa condizione, condizione che si fonda sul "non cambiare" del nuovo testo, essenzialmente allusivo e basato su un'analogia astratta e metaforica alla quale si può arrivare solo conoscendo trama e psicologia dei personaggi.
  • Una rosa non potrà mai essere un lillà,
    non potrai mai cancellare di essere nata donna.
    (André - da "Lady Oscar")

    Lady Oscar, nell'azzurro dei tuoi occhi c'è l'arcobaleno
    Lady Oscar, chi lo sa se un giorno poi tu l'attraverserai
    dovrai riuscire sai a non cambiare, non cambiare mai.
    (Alessandra Valeri Manera, 1990 - da "Una spada per Lady Oscar")
Un esempio ancora più lampante che mise in luce l'effettiva diversità di atteggiamento nello scrivere il testo della sigla di un cartone animato tra il periodo classico (1970-85) e quello neoclassico (1986-2000) fu dato nel 2000, quando a Riccardo Zara fu affidata la realizzazione della sigla italiana di una nuova serie di Ryoko Ikeda, si trattava di Caro fratello..., che, come la celebre opera dell'autrice, riproponeva temi adulti e diversi spunti di riflessione.
Questa volta, in una condizione di maggiore libertà di pensiero e di sempre meno pregiudizi sul disegno nipponico, Zara poté lasciarsi andare scrivendo un testo maturo, adeguandosi allo spessore del relativo cartone animato.
  • Mi sento sicura, poi provo paura e sento la voglia
    di un delicato arcobaleno che tinga questo diario strano
    colorato un po' da te.
    (Riccardo Zara, 2000 - da "Caro Fratello...")
Dal 2001 il cambio di direzione della fascia ragazzi del Gruppo Mediaset favorì la messa in onda in televisione di cartoni animati poveri di contenuto, legati indissolubilmente al merchandising e destinati ad un target prettamente infantile.
In questo periodo, definibile come Siglologia moderna (2001 - Oggi), con la conseguente riduzione in tv di serie pensate per un pubblico più maturo, ma soprattutto a causa del sempre più raro contribuito di parolieri esperti che avevano visto nascere questo mondo e la sua evoluzione, anche le sigle si comportarono di conseguenza, tornando a tematiche inespressive e carenti di significato, del tutto adeguate al nuovo standard commerciale dei cartoni animati in onda su rete nazionale.
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*ONGAKU*
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da *ONGAKU* »

Secondo me bisogna distinguere 2 componenti: testo e musica. Musicalmente le sigle dei cartoni anni '80 (in particolare) sono perfettamente in linea con la musica di quel periodo. Prendiamo ad esempio la sigla di Daitarn: se gli cambi il testo e magari il nuovo testo lo canti in inglese, ecco che non si può più parlare di canzone per bambini.
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boffoviridis
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da boffoviridis »

Il post di Yusaku è davvero impressionante, degno di una lezione universitaria.

E' certo che le sigle dei cartoni non possono essere svincolate dal target di riferimento che, in un modo o nell'altro, rimane il bambino/ragazzo. Il problema è che il target non può diventare la scusa per sottovalutare la valenza artistica delle sigle, sia come musiche che come testo.

Tuttavia anche Yusaku cade in un increscioso luogo comune quando dice:
Nonostante ciò, la professionalità degli autori scelti per la realizzazione delle sigle nostrane seppe produrre testi che, pur essendo prodotti "minori" destinati al mondo dell'infanzia, avevano una certa ricercatezza, sia nei temi che nelle parole scelte, che spesso abbracciavano la sfera dell'insegnamento, ma anche e soprattutto quella della fantasia, dell'immaginazione e del sogno.
Perchè etichettarli come prodotti minori (lo so, la parola minori è messa tra virgolette, anche se in questo caso non ho capito il perchè dell'uso delle virgolette)? E perchè bisogna pensare che un prodotto che ha come target il bambino debba essere per forza povero? Purtroppo è questa la mentalità più comune che vede i bambini come degli adulti incompleti, capaci solo di cose semplici. E invece il mondo del bambino è molto più complesso e ricco di quello dell'adulto, perchè è un mondo dove tutto è possibile, dove la fantasia è realtà. Quindi è altrettanto complesso saper usare il linguaggio dei bambini che solo apparentemente è basilare ma che, con una sintesi impressionante, sa comunicare più di quanto possa fare un adulto.
E io sono convinto che gli autori delle sigle dei cartoni abbiano saputo, in coscienza o meno, esprimere una bravura artistica che è di molto superiore a quella di un autore di canzoni destinate a un target di ragazzine, perchè le loro canzoni ancora adesso sanno risvegliare l'interesse di quelle persone che hanno saputo mantenere viva la lora parte più complessa ed evoluta che Pascoli chiamava con il nome di fanciullino
“Sedendo tranquillo senza fare nulla, arriva la primavera e l’erba cresce” Pensiero Zen
Maison72
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da Maison72 »

Dico anche io la mia opinione.
Sono sostanzialmente d'accordo con Yusaku nella sua analisi ma solo riferita al mercato italiano.
E' vero in Italia gli anime (o cartoni animati) sono considerati un prodotto per bambini, questo sia negli anni settanta ottanta e sia ai giorni nostri. Per ora la grandissima maggioranza degli italiani la pensa cosi'.
I testi delle sigle italiane hanno le caratteristiche spiegate in modo esauriente da Yusaku.
Per quello che riguarda il Giappone invece non sono d'accordo.
In quel paese l'animazione ha un target che non e' solo rivolto ai bambini. Ad esempio Ghost in the shell stand alone complex, Akira, Monster, Haibane Renmei, Patlabor, Jin-Roh, Princess Mononoke, Planetes, Una tomba per le lucciole,Omoide poro poro sono serie o film per adulti per la loro complessita' e struttura narrativa.
Anche le musiche giapponesi sono in molte circostanze di altissimo livello artistico, non c'e' paragone con l'Italia.
Provate ad ascoltare di musiche dei film Ghibli, o quelle di Haibane Renmei o quelle di Nodame cantabile e ve ne rendete conto. Spesso sono eseguite da vere e proprie orchestre, da noi sarebbe impossibile.
Poi certo anche loro hanno le canzoni delle idol e molta musica commerciale di bassa qualita', ma non bisogna generalizzare.
Yusaku
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Re: Le sigle dei cartoni sono ancora per bambini?

Messaggio da Yusaku »

boffoviridis ha scritto:Perchè etichettarli come prodotti minori (lo so, la parola minori è messa tra virgolette, anche se in questo caso non ho capito il perchè dell'uso delle virgolette)? E perchè bisogna pensare che un prodotto che ha come target il bambino debba essere per forza povero?
Minori perché, purtroppo, è in questo modo che vengono considerati. Ma, giustamente, ho racchiuso la parola tra virgolette perché, in realtà, sappiamo quanto sia difficile comporre un pezzo di questo genere.

Difficile e, spesso, anche costoso. In questo caso mi piace sempre citare la canzone "Cenerentola", scritta nel 1997 dal maestro Silvio Amato per Cristina D'Avena.
La struttura musicale, per la realizzazione di questo pezzo, dovette spendere una somma importante. Si trattava, infatti, di un valzer viennese, dall'atmosfera retrò, che richiedeva assolutamente un'orchestra di archi. Vennero in studio 13 musicisti (4 primi violini, 4 secondi violini, 2 viole, 2 violoncelli e un contrabbasso) e la sigla fu splendidamente arrangiata da Valeriano Chiaravalle.
Maison72 ha scritto:Per quello che riguarda il Giappone invece non sono d'accordo.
In quel paese l'animazione ha un target che non e' solo rivolto ai bambini.
E' esatto, ma questa distinzione di target è relativamente recente (possiamo iniziare a parlarne seriamente dagli anni '80 o, al massimo, fine anni '70), "Lo specchio magico", "Una sirenetta fra noi", "Kimba il leone bianco", "Doraemon", "Carletto il principe dei mostri" avevano tutt'altro target.
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